
Il nuovo disco dei National lo domina la voce di Matt Berninger. Una voce cupa e intensa, di quelle in grado di disegnare solchi profondi, di aprire e chiudere ferite, una di quelle voci in gradi di aggiungere senso alla melodia.
Il primo riferimento che viene in mente sentendo Matt Berninger è Leonard Cohen, e lui dà l’idea di saperlo benissimo: sentire per credere l’intro di ‘Racing like a pro’ che sembra uscita dritta dritta da un disco del genio di Montreal.
L’altro nume tutelare che attraversa tutto il disco è Stuart A. Staples, cantante e mente dei Tindersticks, uno dei migliori gruppi degli anni 90, in Italia di sicuro uno dei più sottovalutati. In the ‘Boxer’ i Tindersticks sbucano dappertutto: nella voce, nell’uso degli archi, nelle strutture ritmiche, e, soprattuto, in un clima d’insieme: sembrano, National e Tindersticks, lavorare gli stessi materiali, alcolici e notturni.
A differenziarli, c’è di sicuro una diversa presenza della batteria, qui ben più protagonista (straordinario Bryan Devendorf), che aggiunge venature post-rock (se mi passate la fastidiosa generalizzazione…) molto simili agli Interpol.
L’effetto è intenso e piacevole, nel senso che Boxer è un disco cupo senza essere angosciante, riflessivo senza essere desolato.
Insomma, dopo le due o tre perle contenute nel precedente Alligator (‘Mr.November, ‘Friend of Mine’), questa volta i National hanno fatto il disco dell’anno. O quasi.